mercoledì 8 maggio 2013

Le reazioni psicologiche al tumore

di Elisabetta Colucci
Quando si riceve una diagnosi di tumore e nei mesi che seguono molte sono le emozioni sperimentate dal malato e altrettante le modalità con cui esse vengono gestite. Ogni individuo è unico e unica è la sua modalità di reagire ad un evento che minaccia la vita. Gli studiosi hanno distinto tali modalità in relazione alla fase del percorso che la persona attraversa: fase di allarme pre-diagnostico, fase acuta, fase elaborativa. A queste fasi, ne possono far seguito altre, a seconda dell'evoluzione della malattia, quale la guarigione, la recidiva fino alla morte. Tali fasi non devono essere intese come stadi che si succedono in modo rigidamente sequenziale, potendosi piuttosto riproporsi o sovrapporsi in vari momenti della malattia. 

L'articolo che segue si propone pertanto di guidare il lettore in una riflessione sul critico e doloroso percorso che la persona attraversa, così da accrescerne la consapevolezza, chiarire dubbi e condividere, se lo desidera, pensieri ed emozioni attivati dalla lettura.

La “fase dell'allarme pre-diagnostico” è quella relativa alla comparsa dei primi sintomi e del sospetto della malattia. Le reazioni più frequenti sono: l'allarme e l'ansia. La persona, infatti, può sperimentare un alto livello di preoccupazione rispetto al sintomo ed un'ansia, che se estremamente elevata, può innescare meccanismi di minimizzazione o di negazione del significato dei sintomi, ritardando la possibilità di una diagnosi. Invece dell'ansia, può comparire un atteggiamento pessimista rispetto all'esito degli esami diagnostici. 


Nel momento in cui gli esami medici accertano la presenza di un tumore, la persona si trova a vivere un turbinio di forti emozioni delineando l'inizio di un percorso in cui avvertirà progressivamente che niente sarà più come prima, creandosi uno spartiacque tra quello che si era prima della diagnosi e quello che si è dopo. 
Così, nella fase di shock, primo momento della fase acuta, subito dopo aver ricevuto la diagnosi, la persona sperimenta sentimenti di incredulità, di anestesia affettiva e di angoscia. Spesso reagisce negando quanto le sta capitando, così da proteggersi da una realtà troppo dolorosa e che non è pronta ad affrontare. In tal modo, mantiene la disperazione entro livelli più tollerabili. 

Successivamente la necessità di approfondimenti diagnostici e delle cure rende ancora più evidente la realtà della malattia. Si entra in una fase di transizione, in cui le emozioni prevalenti sono di angoscia, rabbia, disperazione e paura. Per contenere queste emozioni, possono venir attivate difese diverse, a volte opposte tra loro. Ne sono un esempio casi in cui la persona afferma di “non essersi sentita mai così in forma”, parla della diagnosi con indifferenza, mette in atto comportamenti infantili, diventa più aggressiva verso i medici o i propri cari. 

A tale fase acuta segue quella “elaborativa”, in cui si verifica una graduale elaborazione, accettazione e riorientamento della propria esistenza. In questa fase, in particolare, si cerca di dare un senso a ciò che è successo, di rispondere alla domanda fin dall’inizio presente, “Perché proprio a me?” (Grassi, Biondi, Costantini, 2003), e di accettare il lutto per le parti perdute di sè, rispetto all'identità, all'immagine corporea, al lavoro, alle relazioni familiari e sociali (Kubler-Ross E., 1990). 
Inoltre, in questa fase continua quel percorso elaborativo che la persona può aver intrapreso nelle fasi precedenti, autonomamente o supportato da professionisti della salute mentale, relativamente ad emozioni, pensieri e comportamenti associati alla malattia, alle fantasie di morte, alla sofferenza. In tale percorso lo sforzo continuo è rappresentato dal non nascondere quelle emozioni e pensieri, all'inizio indicibili, se non impensabili, a sé e agli altri, di non reprimerle nel timore di perdere il controllo ma piuttosto di accoglierle, di confrontarsi con esse, per poi così affrontarle e superarle (Spiegel, Classen, 2003). 

Le reazioni psicologiche (cognitive, emotive e comportamentali) al tumore, a lungo termine, sono influenzate dagli specifici stili di coping adottati dalla persona, ossia da quelle particolari modalità con cui fa fronte ad un evento che minaccia la propria vita, quale appunto il tumore (Grassi, Biondi, Costantini, 2003). 
Secondo alcuni studi (Lampic e coll., 1994 Società Italiana di Psiconcologia, 1998), uno stile di coping che favorisce un miglior adattamento psicosociale e una minor preoccupazione per la malattia è rappresentata da quella che Greer (1991) definisce “spirito combattivo”, intesa come un atteggiamento fiducioso nelle proprie capacità di combattere e di sconfiggere la malattia, un atteggiamento di confronto e di aderenza alle terapie (Lampic e coll., 1994), di ricerca attiva del sostegno sociale (Società Italiana di Psiconcologia, 1998); al contrario nel caso in cui prevalgano le modalità denominate “disperazione” e “preoccupazione ansiosa” (Lampic e coll., 1994), stili caratterizzati da atteggiamenti dubbiosi, ruminazioni e difficoltà relazionali (Società Italiana di Psiconcologia, 1998). 
Con questo non si vuol dire, però, che la persona debba reprimere le sue emozioni, ma piuttosto che, essendo emozioni naturali di fronte ad una malattia che minaccia la propria esistenza, è fondamentale che vengano manifestate, condivise, elaborate. L'evitamento e la negazione delle emozioni “negative” può rappresentare un sollievo nel breve termine ma a lungo termine rinforza il senso di isolamento, la solitudine e la convinzione di non poter tollerare quelle emozioni. Ne derivano disperazione e impotenza. A volte, infatti, la persona è convinta che il “pensare positivo” faciliti la guarigione e che il provare sentimenti “negativi” causi una recidiva o la diffusione della malattia. Al “pensiero positivo”, si può aggiungere, quale meccanismo che impedisce l'espressione delle emozioni, il timore di esser sommersi da esse o il sommergere gli altri. E' importante, in questi casi, approfondire se e come la persona è pronta ad accedere in quel momento alle proprie ed altrui emozioni, per poi separarsi da esse e riflettere sul loro significato (Spiegel, Classen, 2003). 

Tra i fattori che influenzano la possibilità per il paziente di affrontare la situazione di crisi esistenziale, scatenata dalla diagnosi tumorale, troviamo ad esempio: il livello di adattamento precedente (per esempio nei confronti di pregresse situazioni di malattia); il tipo di patologia (sintomatologia, decorso, tipi di trattamento, eventuali effetti collaterali); la fase del ciclo vitale individuale e familiare (essendo diverse le possibilità di reazione nel caso in cui il tumore compaia durante la fase adolescenziale o l'età matura; all'inizio del matrimonio o dopo la nascita del primo figlio (Grassi, Biondi, Costantini, 2003); il tipo e l’entità del sostegno familiare e sociale (ponendosi su un continuum che va dalla distanza affettiva e fisica, dal disinteresse per la vita dell'altro che può sentirsi abbandonato e isolato, all'ipercoinvolgimento e all'iperprotettività, con la perdita di autonomia di un membro rispetto all'altro (Grassi, Biondi, Costantini, 2003); il significato personale attribuito alla malattia, rispetto al quale Lipowski (1970) ne individua diversi possibili: malattia intesa come punizione; come perdita della propria identità sessuale o del proprio ruolo professionale, familiare o sociale; come nemico contro cui combattere; come valore o possibilità di crescita personale; come sfida alle proprie risorse mentali; come strategia; come sollievo in pazienti che avevano già ridotto le proprie aspettative nei confronti della vita; come debolezza organismica (Lipowski, 1970). 

In conclusione, la persona con una malattia oncologica sperimenta nel percorso diagnostico e terapeutico una molteplicità di pensieri ed emozioni, con i quali è comprensibilmente complesso e doloroso convivere, accettare, sostenere. Tali reazioni psicologiche, infatti, richiedono un continuo e ripetuto lavoro di adattamento, che si realizza tramite un processo di elaborazione progressivo, diverso a seconda della storia di ogni persona e della sua struttura psichica (Società Italiana di Psiconcologia, 1998). 

Bibliografia 

Grassi L., Biondi M., Costantini A. (2003). Manuale pratico di psiconcologia. Roma: Il Pensiero Scientifico. 

Greer S. Psychological response to cancer and survival. Psychological Medicine 21, 1991. 

Kubler-Ross E. (1990), La Morte e il morire, Assisi: Cittadella, 6° ed. 

Lampic C., Schill J.E, Brodin O. Coping, psychological well-being and anxiety in cancer patients at follow-up visits. Acta Oncologica 33, 1994. 

Lipowski Z.J. Physical illness, the individual and the coping processes. Psychiatry in Medicine 1, 1970. 

Spiegel D., Classen C. a cura di Grassi L., Costantini A. (2003). Terapia di gruppo per pazienti oncologici. McGraw-Hill, Milano. 

Standard, opzioni e raccomandazioni per una buona pratica psico-oncologica. Società Italiana di Psiconcologia, 1998.

1 commento:

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